L’elezione di Antonio Tajani alla guida del Parlamento europeo, avvenuta martedì 17 gennaio a Strasburgo, contiene alcune indicazioni non banali, sia relative all’Europa che riguardanti l’Italia. Come noto, l’uomo politico italiano è stato eletto al quarto turno di scrutinio, con la maggioranza relativa dei voti. I primi tre turni di scrutinio non hanno avuto successo, perché nessuno dei candidati ha ottenuto la maggioranza assoluta dei voti espressi e validi, come richiesto dal regolamento. Dal 2004 è la prima volta che l’elezione del nuovo presidente non avviene al primo turno. A votare per Tajani, 63 anni, è stata una alleanza di centro-destra, composta da popolari, liberali e conservatori. L’uomo politico ha ottenuto 351 voti, esattamente il numero di deputati provenienti dai tre gruppi che lo hanno ufficialmente sostenuto. All’elezione del presidente del Parlamento europeo non ha contribuito la grande coalizione socialista-popolare che ha governato l’Europa in questi anni. Dietro a questa circostanza si nascondono alcuni segnali interessanti. Prima di tutto la nuova alleanza da sola non può pensare di essere la nuova maggioranza nell’assemblea: il Parlamento europeo conta infatti 751 deputati, e la maggioranza assoluta è di 376 voti. La nuova coalizione, se vorrà veramente governare l’Europa, dovrà pescare voti a destra e a sinistra. Peraltro, secondo uno studio pubblicato dal centro-studi bruxellese Vote Watch, emerge chiaramente che i popolari, i liberali e i conservatori spesso votano in modo diverso. Mentre i liberali sono esplicitamente europeisti, i conservatori, che raggruppano tra gli altri i Tories britannici, sono tendenzialmente euroscettici. I conservatori appoggiano il nazionalismo ungherese e polacco, che invece i popolari e i liberali criticano. Mentre i liberali sostengono la necessità di una società aperta, i popolari e i conservatori credono nella difesa di valori tradizionali. I tre partiti sono invece vicini quando si tratta di difendere il libero mercato e la deregolamentazione. Questa nuova situazione rende più incerto l’iter legislativo comunitario e più instabile il lavoro della Commissione europea, che dovrà lottare volta per volta per ottenere l’approvazione parlamentare delle sue proposte legislative. Lo stesso rapporto con il co-legislatore, vale a dire il Consiglio, sarà inevitabilmente più difficile, se è vero che non vi è attualmente tra i governi nazionali una dominanza politica chiara. Nel Consiglio europeo presieduto da Donald Tusk siedono otto popolari, otto socialisti, sette liberali, due conservatori, un esponente della sinistra radicale e due indipendenti. Ciò detto, la mancanza di una maggioranza chiara e solida nel Parlamento europeo ravviva il dibattito pubblico e ridà all’assemblea una chiara responsabilità politica, dopo che in questi anni l’iter legislativo è stato drogato dalla presenza di una ampia e solida grande coalizione. Da ora in poi, la politica europea rischia quindi di essere più instabile, ma anche più vivace. Una ultima considerazione relativa all’Italia. Ormai tre italiani sono alla guida di tre delle sei principali istituzioni comunitarie: oltre a Tajani alla testa del Parlamento europeo, Mario Draghi presiede la Banca centrale europea e Federica Mogherini è Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza. Le altre istituzioni sono guidate dal lussemburghese Jean-Claude Juncker (Commissione), il polacco Donald Tusk (Consiglio) e l’olandese Jeroen Dijsselbloem (Eurogruppo). Coincidenza del destino o merito delle persone? Probabilmente entrambi i fattori hanno giocato. Nell’elezione di questa settimana, Tajani ha fatto campagna elettorale in modo molto incisivo. “Sa curare i contatti. La sua tecnica è efficace – spiegava nei giorni scorsi un osservatore bruxellese –. Prima di un viaggio in Sudamerica, per esempio, si informa precisamente sulla vita calcistica nel paese, e quando sbarca dall’aereo riesce subito ad instaurare con i governanti locali un ottimo rapporto”. In Italia, c’è chi spera che, con la nomina di Tajani, l’influenza del paese possa crescere in Europa. E’ possibile, anche se chi presiede le istituzioni comunitarie è costretto al ruolo di arbitro e di mediatore. Non per altro la Germania punta soprattutto alle alte cariche amministrative piuttosto che alle posizioni politiche al vertice.
(Nella foto, il nuovo presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, a sinistra, insieme al suo predecessore, il tedesco Martin Schulz)
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