Diceva Paul Claudel: “L’uomo che si arrabbia è sempre l’ultimo a capire le cose”. Ancora in questi giorni, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha criticato la posizione tedesca in Europa, in particolare sul fronte bancario. Durante il recente vertice europeo qui a Bruxelles, la cancelliera federale Angela Merkel ha ribadito la sua contrarietà a una garanzia in solido dei depositi bancari nella zona euro. L’idea, sostenuta anche dalla Banca centrale europea, è l’ultimo tassello di una unione bancaria che prevede anche sorveglianza comunitaria e risoluzione unica degli istituti di credito. In novembre, la Commissione europea ha presentato un progetto di legge che prevede nel giro di otto anni una mutualizzazione graduale dell’assicurazione dei depositi bancari. Neppure la gradualità rassicura il governo federale. In Italia, l’atteggiamento tedesco non è capito: si accusa la Germania di egoismo e di nazionalismo. Nell’opporsi all’idea di assicurare in solido i depositi, si pensa che Berlino si rifiuti di aiutare il vicino per meglio difendere le proprie banche, deboli e politicizzate. La posizione tedesca è più complicata, e certo la stessa Germania – quasi fosse incapace a spiegare chiaramente le sue ragioni – non aiuta a capirla. Il governo federale non vuole (ancora) impegnarsi nell’assicurazione in solido dei depositi bancari nella zona euro perché è convinto che il mercato creditizio sia ancora troppo frammentato, nonostante la vigilanza unica. Preoccupa, per esempio, l’elevata esposizione al debito pubblico nazionale di alcuni settori bancari. Agli occhi della Germania, il legame è tanto più pericoloso quanto più riguarda i paesi ad alto debito. In Italia, il 67% del debito sovrano nei portafogli bancari del paese è italiano. Berlino chiede prima di tutto limiti, in modo da alleggerire i rischi bancari. E’ una richiesta illegittima? Certo, possiamo pensare che sia il pretesto per non mettere in comune le garanzie accumulate finora dal sistema bancario tedesco, ma come non ricordare che l’obiettivo dell’unione bancaria sia anche di spezzare il legame tra bilancio sovrano e bilancio bancari? C’è di più. Prima di dare il suo benestare alla garanzia unica dei depositi, il governo tedesco vuole che si definisca un livello di leva finanziaria in Europa; che si immagini un meccanismo di ristrutturazione del debito sovrano; che si armonizzino le legislazioni nazionali sui fallimenti, o sui crediti d’imposta. Vi sono poi un centinaio di perduranti discrezionalità nazionali nel decidere i requisiti patrimoniali. Troppo pericoloso agli occhi tedeschi. Hanno torto? Temo che il salvataggio di quattro banche in Italia abbia loro confermato che il panorama bancario europeo è ancora troppo ricco di insidie. A colpire in Germania non è l’importanza delle quattro banche regionali, tutto sommato relativa, ma il fatto che la vicenda è un esempio di commistione tra potere politico e interessi economici. La crisi finanziaria del 2007-2008 ha messo in luce la debolezza del settore creditizio in Germania, segnata dalla presenza della classe politica locale nelle Sparkassen e nelle Landesbanken, e di una vigilanza incerta, tra Bundesbank e BAFin. Uno studio del settimanale Die Zeit del gennaio 2013 notava che dei 620 deputati del Bundestag 126 siedono nel consiglio di sorveglianza di almeno una società (non solo banche). Alla ricerca di investimenti lucrativi, molti istituti di credito tedeschi avevano acquistato titoli americani di cattiva qualità, soprattutto quelle pubbliche che stavano perdendo progressivamente per decisione (giusta) della Commissione europea la garanzia statale nelle emissioni obbligazionarie. In un precedente articolo, ho ricordato le cifre sborsate dal governo tedesco tra il 2008 e il 2014 per salvare le banche del paese: 197 miliardi di euro sotto forma di ricapitalizzazioni e 465 miliardi di euro sotto forma di garanzie. L’Italia ha certamente speso meno soldi in questi anni. Rispettivamente: 22 miliardi e 110 miliardi di euro. Perché le banche erano in migliore salute? Perché il paese aveva già un debito molto elevato e doveva avere un atteggiamento oculato? O per un misto di miopia, orgoglio e paura di mettere a soqquadro il sottile equilibrio politico ed economico che sottintende alla gestione di numerosi istituti di credito? Oggi, secondo un recente rapporto dell’Autorità bancaria europea, le sofferenze del settore bancario italiano rappresentano il 16,7% del totale dei crediti. In Germania sono appena il 3,4% del totale, dopo un repulisti notevole. La differenza non può essere solo imputata alle difficoltà economiche italiane, se è vero che il recente scandalo della Banca popolare di Vicenza ha messo in luce come l’istituto di credito abbia finanziato un proprio aumento di capitale, attraverso prestiti ai propri azionisti, in un luciferino circolo vizioso. Alla pari del debito pubblico, il settore creditizio italiano è il riflesso di clientelismi politici ed economici. Altri paesi soffrono dello stesso virus, anche la Germania; ma altrove sembra che l’interesse generale prevalga su quello familistico. A dispetto delle molte critiche che si possono muovere alla Repubblica Federale, lo stato di salute di un settore bancario si riflette nello stato di salute di una economia. Nonostante molte debolezze, anche strutturali, in questi anni l’economia tedesca è cresciuta, quella italiana ha sofferto. Si dice che la miglior difesa sia l’attacco, ma nel criticare oggi la Germania si rischia di non essere sufficientemente lucidi sui malanni italiani.
(Nella foto, il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble, 73 anni, che più di altri si è opposto alla garanzia unica dei depositi)
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