Nel discutere in Europa di una qualche forma di responsabilità in solido nella gestione dei rifugiati in arrivo dal Vicino Oriente, lo sguardo corre naturalmente ai paesi dell’Est. Si sono dimostrati finora molto freddi all’idea di accogliere profughi siriani o iracheni, libici o afghani. La Commissione europea non esita a criticarli pubblicamente. Bruxelles è assai più discreta, ma altrettanto indispettita quando si tratta di giudicare la Francia. Ancora di recente, il premier Manuel Valls ha detto che il suo paese accoglierà 30mila rifugiati, “ma non di più”. Commentava nei giorni scorsi un diplomatico europeo: “Sorprendente, direi anche triste, la reazione del paese della Dichiarazione dei diritti umani, del paese che ha come motto Liberté, Egalité, Fraternité…”. Mentre la Germania ha deciso, con molti mal di pancia, di accogliere fino a 800mila persone solo nel 2015, la Francia rimane restìa ad aprire le sue porte ai rifugiati provenienti dal Vicino Oriente. Il motivo è semplice: il governo Valls e il presidente François Hollande sono concentrati sulle prossime elezioni presidenziali del 2017. In un contesto politico incerto, dettato dalla popolarità del Fronte Nazionale di Marine Le Pen, radicale e xenofobo, i due leader socialisti francesi temono che accogliere nuovi immigrati possa ritorcersi contro di loro. La reazione non lascia indifferente i profughi siriani o iracheni. Funzionari comunitari notano che pochi sono coloro che vogliono trasferirsi in Francia. Sorprendentemente, il risultato di questa scelta francese non ha una valenza solo politica, quella di un paese che rinnega la sua immagine di tradizionale terra d’asilo (nel 2013 è uscito da Laffont uno straordinario e sorprendente Dictionnaire des étrangers qui ont fait la France, composto da 1186 voci, una più interessante dell’altra). La decisione rischia di avere anche un impatto economico. In un rapporto pubblicato la settimana scorsa, la Commissione europea ha sostenuto dati alla mano che l’arrivo di centinaia di migliaia di immigrati sosterrà l’economia dell’Unione europea, contribuendo a un aumento degli investimenti e a un incremento della domanda. L’impatto sarà diverso a seconda del paese. Bruxelles ha calcolato che nel caso dell’arrivo di rifugiati particolarmente istruiti la crescita dell’economia tedesca potrebbe registrare un aumento ulteriore dello 0,43% nel 2016 e via via dello 0,72% nel 2020. Nel caso dell’accoglienza di rifugiati meno istruiti, l’aumento della crescita tedesca è invece stimato a poco meno dello 0,50% all’anno. Evidentemente, la Francia non potrà approfittare dello stesso sostegno economico. Analizza un diplomatico europeo: “Il modo in cui i paesi europei stanno affrontando la crisi dei rifugiati rischia di provocare nuovi squilibri economici in Europa”. A Bruxelles si considera che l’accoglienza dei rifugiati in arrivo dal Vicino Oriente impone nei paesi di arrivo proficue riforme strutturali. Da tempo, la Germania cresce più della Francia, dopo l’adozione di una serie di riforme economiche a metà del decennio scorso. Tra il 2007 e il 2011 la crescita media annua tedesca è stata dell’1,2%, quella francese dello 0,7%. Secondo le ultime previsioni economiche della Commissione europea, nel 2016 la Germania crescerà dell’1,9%, la Francia dell’1,4%. In questo senso, l’accoglienza dei profughi provenienti dal Vicino Oriente – generosa in Germania, limitata in Francia – potrebbe allargare il divario economico tra i due principali paesi della zona euro, indebolendo ulteriormente Parigi rispetto a Berlino da un punto di vista politico. Agli occhi di molti qui a Bruxelles, lo scenario è un ulteriore elemento di preoccupazione per la stabilità della zona euro, in assenza di un rapporto di forza equilibrato tra i due grandi paesi dell’unione monetaria.
(Nella foto, Manuel Valls, 53 anni, primo ministro francese dal 2014, nato cittadino spagnolo da un padre che aveva lasciato il proprio paese dopo l’arrivo al potere di Francisco Franco)