La fine drammatica del volo Germanwings schiantatosi nelle Alpi francesi una settimana fa per volere del suo copilota Andreas Lubitz sta provocando in Germania una discussione pubblica, una auto-analisi interiore, una rivisitazione psicologica come solo questo paese ne ha l’incredibile capacità. Nella stampa, in televisione, in Parlamento, il tema è vivisezionato, come non mai. Come è possibile, si chiedono esterefatti i tedeschi, che una tragedia tale possa avvenire nel nostro paese, dove gli standard di sicurezza e la qualità del servizio sono mondialmente noti? Nel 1915, qualche mese dopo l’inizio della Grande Guerra, Vilfredo Pareto scrisse un articolo intitolato: L’Allemagne a-t-elle le secret de l’organisation?. Riferendosi alle prime battaglie vittoriose nel conflitto, lo studioso rispondeva alla domanda notando in Germania “il sentimento che spinge ad accettare sacrifici individuali per il bene della patria e a non trascurare il futuro per godere del presente”. La catastrofe di Prads-Haute-Bléone è una doppia tragedia per il paese. Non si tratta solo di piangere la morte di 150 persone per mano di un uomo. La vicenda mette in luce tutti i limiti dell’organizzazione con cui i tedeschi interpretano la loro vita quotidiana. Non sembra che vi sia stato in questo caso un errore, come può accadere in qualsiasi paese. Piuttosto, in questa occasione, l’organizzazione per quanto meticolosa, costante, precisa e diligente è stata costretta ad arrendersi, a dichiarare forfait dinanzi all’imponderabile: i meandri della mente umana che neppure gli eredi di Sigmund Freud e Rudolf Steiner hanno saputo decifrare nel comportamento di Andreas Lubitz. Se i medici curanti del copilota avessero percepito, o solo immaginato le tendenze suicide del loro paziente si deve presumere che non gli avrebbero imposto soltanto giorni di riposo, ma avrebbero avvertito il suo datore di lavoro, e probabilmente preso decisioni più drastiche. In Germania, l’organizzazione non è semplicemente un atteggiamento di vita e un metodo di convivenza sociale. È un modo per scalfire lo stress quotidiano, preparare il futuro, evitare gli imprevisti. Si capisce quindi come la vicenda di Andreas Lubitz abbia sconvolto un paese assai meno fatalista di altri. La vita quotidiana in Germania è segnata dall’ordine, dalla puntualità, dalla diligenza di ciascuno. Quante volte correndo per tentare di prendere la metropolitana, il conduttore chiude le porte senza pietà dinanzi al trafelato viaggiatore per non accumulare ritardo e rischiare di scombussolare la tabella di marcia dell’intera rete ferroviaria? Quante volte i comuni inviano nelle stazioni e negli aeroporti frotte di poliziotti per verificare se le famiglie non partano in vacanza con qualche ora o giorno di anticipo rispetto al calendario scolastico, mentendo magari nella giustificazione inviata alla scuola e violando la legge che prevede la scuola obbligatoria per i più giovani? Quante volte un automobilista rimprovererà il motociclista che superando la fila si è piazzato davanti ai veicoli fermi al semaforo rosso? In questa vena, la stessa medicina tedesca è il riflesso di una società che vuole certezze. I medici si basano sull’analisi chimica – forte di dati, cifre e statistiche apparentemente incontrovertibili – più che sull’esperienza, immateriale e incontrollabile. Non c’è studio medico, grande o piccolo che sia, che non abbia il suo Labor, che sforna esami biologici attraverso i quali il dottore suffragherà la sua diagnosi. Se malauguratamente quest’ultima non dovessere essere confermata dalle analisi, il povero paziente rischia di essere l’oggetto dei molti dubbi del suo medico. (A proposito: che sia questo il motivo per cui la malattia di Lubitz, impossibile da individuare con gli esami biologici, non è stata scoperta?) Lo stesso controllo reciproco, per non parlare di delazione, è il riflesso della necessità di mantenere ordine nella convivenza civile. Quando abitavo in Germania, conoscevo la proprietaria di un negozio di locazione di film con cui mi capitava sovente di chiaccherare mentre sceglievo un DVD. Un giorno le riportai appunto un film; o meglio chiesi a un figlio di riportaglielo, mentre io aspettavo fuori in macchina. Lei rifiutò di accettarlo, perché il DVD era vietato alle persone di meno di 12 anni e mio figlio era minorenne. Dovetti riportarglielo io personalmente. Das geht nicht, è la frase preferita dell’amministratore pubblico, o più semplicemente di una qualsiasi persona a cui spetta la responsabilità di dare il suo benestare a una richiesta vietata, inattesa o comunque apparentemente impossibile da soddisfare. È interessante notare che letteralmente l’espressione significa: Così non va. Il divieto non è legale o giuridico, ma più semplicemente ambientale. È noto ormai che dinanzi all’incertezza i tedeschi soffrono (i partner europei lo toccano con mano nella gestione della crisi dell’euro). Mentre altri popoli gestiscono a cuor leggero l’imprevisto, anzi lo considerano una opportunità, nei tedeschi provoca disagio e nervosismo. Basta assistere, in una qualsiasi città, alla scena dell’arrivo di una ambulanza a sirene spiegate in una via stretta. Il conduttore dell’auto sarà lento a capire che può (deve) bruciare il semafaro rosso, per farsi da parte e salvare una vita. Spesso l’autista spazientito dell’ambulanza gliene dà l’autorizzazione urlando in un altoparlante. Tornando alla catastrofe di Germanwings, nessun paese, nessuna organizzazione, neppure quella più precisa, è immune dalla fatalità. Per molti, proprio l’imponderabile sarebbe una attenuante, una giustificazione. Per i tedeschi, è una ulteriore fonte di angoscia e frustrazione che li rende molto più umani e sensibili di quanto molti in Europa non vogliano credere.
(La foto ritrae Vilfredo Pareto, 1848-1923, economista, ingegnere e sociologo)