C’è un museo a Bruxelles che apre le sue porte appena cinque giorni all’anno. È l’Hôtel Solvay, sull’avenue Louise. Il palazzo non vale solo la visita (da prenotare con settimane di anticipo). Ha una storia che vale la pena di essere raccontata. Nel 1894, Armand Solvay, il figlio di Ernest Solvay, il fondatore dell’omonima multinazionale della chimica, si sposa all’età di 29 anni. Decide quindi di acquistare sull’Avenue Louise, un lungo viale alberato che collega il centro della capitale al Bois de la Cambre, un lotto di terra piuttosto ampio, 15 metri di larghezza e 61 metri di lunghezza per costruirvi la casa di famiglia. Alla ricerca di un architetto, si rivolge a Victor Horta, il maestro dell’Art Nouveau, che ai tempi aveva appena 33 anni. I due decidono che la casa deve essere il riflesso dell’impresa Solvay, nata nel 1863. Tanto la fondazione dell’azienda era stata audace, tanto il nuovo edificio doveva essere anch’esso audace, nelle forme e nello stile. Come altri edifici di Horta, anche l’Hôtel Solvay ha una struttura principalmente di metallo. Si entra nella casa da un passo carrabile attraverso il quale le carrozze di fine Ottocento passavano per depositare proprietari e ospiti prima di fermarsi nelle stalle dall’altra parte del giardino. A differenza di molte maisons de maître, spesso molto buie, il palazzo dei Solvay è particolarmente illuminato. Horta ha previsto grandi vetrate sui due lati della casa, e anche al soffitto. L’architetto ha mescolato magistralmente metallo e legno, decorando pavimenti, tappeti, ringhiere, vetrate, porte, finestre, maniglie, caminetti, lampade e plafoniere a forma di piante e fiori. La casa, forse troppo decorata secondo alcuni, conta 23 tipi di marmo e 17 tipi di legno diversi. I Solvay erano i grandi imprenditori della rivoluzione industriale belga (nell’Hôtel dell’Avenue Louise lavoravano circa 15 domestici), ma si volevano per quanto possibile attenti al benessere della società di quel periodo. La cucina fu costruita al piano terra, non in cantina, come avveniva solitamente. In questo senso, la scelta a fine Ottocento fu eminemente politica.Il sistema di riscaldamento poi era particolarmente innovativo, moderno addirittura in termini di efficienza energetica. Al di là della caldaia tradizionale e dei caminetti, Horta aveva inventato un sistema di canalizzazioni che passavano accanto ai radiatori prima di espellere aria calda in tutta la casa. L’obiettivo era di garantire una temperatura stabile di 18-19 gradi. Solvay e Horta erano più o meno coetanei e sembra che nel corso dei lavori diventarono amici. L’edificio fu ultimato nel 1903, solo dopo tuttavia che Solvay protestò con Horta perché ebbe l’impressione che l’architetto fosse più interessato a terminare la sua casa in Rue Américaine, piuttosto che a finire quella dei Solvay in Avenue Louise. Nel 1957, Armand Solvay ormai scomparso, la casa stava per essere distrutta come tanti altri edifici dell’Avenue Louise, allora oggetto della costruzione di lunghi tunnel in vista dell’Esposizione Universale del 1958. Fu acquistata e salvata dai Wittamer, la famiglia non di cioccolatai ma di sarti. I Solvay, che nel frattempo si erano trasferiti fuori città, nella zona di La Hulpe, portarono via con sé i mobili. I Wittamer decisero di riacquistarli, tanto fu difficile trovare sul mercato il mobilio adatto alla casa. I Wittamer utilizzarono l’edificio per qualche anno come laboratorio, accogliendo i clienti per le prove. Poi fu deciso di cambiarne la destinazione. Da allora, l’Hôtel Solvay, tra le opere inserite nel Patrimonio mondiale dell’UNESCO, è affittato saltuariamente per ricevimenti ed è visitabile dal pubblico cinque volte all’anno, i primi sabati di giugno, settembre, ottobre, novembre e dicembre.
(Nella foto, le scale d’onore dell’Hôtel Solvay)