BRUXELLES – Connie Hedegaard, 52 anni, è il Commissario europeo per l'azione per il clima. Esponente del Partito popolare danese, la signora Hedegaard è spesso stata in questi mesi al centro delle critiche, in particolare dell'industria, per una politica ambientale troppo ambiziosa, troppo lontana dalle esigenze di un settore produttivo che già soffre della crisi economica. In questa intervista, il Commissario spiega le sue ragioni.
Da tempo, i paesi dell'Unione stanno discutendo di come
riformare il mercato di scambio delle quote di emissioni nocive (noto
con l'acronimo inglese ETS). I prezzi oggi sono bassi, oscillano intorno
ai 3-4 euro, e in questo modo non incentivano la lotta all'inquinamento
da parte delle imprese. Lei ha proposto di rinviare una prevista asta
di quote, pur di ridurre l'offerta e di riportare i prezzi a un livello
di equilibrio. Molti paesi si oppongono; la Commissione Industria del
Parlamento ha votato contro in una mozione non vincolante. Ci sarà un
accordo?
Sono fiduciosa. La Germania sta iniziando a cambiare
posizione. Altri paesi, come l'Italia, sono a favore. Le imprese che si
oppongono hanno lo sguardo corto. Bisogna capire che noi proponiamo
semplicemente un cambio di tempistica. Anziché mettere all'asta le quote
nel 2013-2015, proponiamo di rinviare l'asta al 2019-2020. Peraltro,
qualche anno fa abbiamo anticipato un'asta di quote, senza che nessuno
protestasse.
Il suo obiettivo è di rispondere con flessibilità alle
difficoltà del mercato, ma molte imprese protestano lo stesso. Affermano
che il momento economico è difficile, e che alzare più o meno
artificialmente il prezzo delle quote significa metterle in ulteriore
difficoltà.
So che il settore dell'acciaio protesta molto. Tuttavia,
vorrei fare notare che ArcelorMittal, oggi al centro dell'attualità per
la chiusura di alcuni impianti in Belgio, ha ricevuto quote di emissione
a titolo gratuito più del necessario, e ha fatto profitti rivendendole.
Un'ultima cosa. Le imprese dovrebbero riflettere sulle conseguenze di
un mercato che non funziona a dovere. Visto che tutti i paesi hanno i
propri obiettivi ambientali, l'alternativa allo schema attuale sarebbe
un mosaico di legislazioni nazionali che non sarebbe né meno costoso né
meno complesso di quello attuale. Al contrario.
I prezzi attuali, così bassi, non penalizzano anche i governi?
Sì,
assolutamente, poiché sono gli stati membri a vendere le quote di
emissione. In Parlamento a Berlino il ministero delle Finanze tedesco ha
spiegato che aveva stimato il prezzo medio dei titoli messi all'asta a
17 euro. Poiché oggi i prezzi viaggiano intorno ai 3 euro, nel bilancio
pubblico tedesco si è creato un buco.
Negli ultimi anni, molti paesi
hanno capito che la lotta all'inquinamento è una opportunità economica.
Dove si sta facendo di più in questo campo?
Certamente in Germania,
in Olanda, e anche nel mio paese, in Danimarca, dove c'è un accordo
politico tra i partiti per ridurre i consumi di energia dell'1,5%
all'anno. Molti sforzi ci sono anche in Spagna e in Polonia. D'altro
canto, in questo campo gli investimenti hanno un ritorno rapido, e
quindi la strategia è facile da spiegare ai cittadini.
Un'altra
critica è che la lotta all'inquinamento in Europa si baserebbe su un
eccesso di regolamentazione (vi sono norme sulle fonti rinnovabili,
sulla qualità dei carburanti, sull'efficienza energetica, sulle
emissioni nocive ecc).
Ammetto che il sistema è complesso. Credo sia
anche la conseguenza del fatto che tutti – governi, partiti politici,
associazioni imprenditoriali, lobbies – chiedono norme, agevolazioni,
eccezioni. Si moltiplicano le regole. Ciò detto, non credo che si possa
parlare di un eccesso di regolamentazione. Credo sia giusto avere
obiettivi che vadano oltre quello delle semplici emissioni nocive di
Co2.
Un'ultima domanda. Cosa risponde a chi sostiene che l'Europa si
pone obiettivi troppo ambiziosi rispetto a quelli dei suoi principali
concorrenti commerciali?
È vero che ciò può rivelarsi un problema. È
anche vero però che anticipare i tempi ha i suoi vantaggi. Il mondo sta
cambiando: anche la Cina o il Brasile si stanno adeguando a politiche
ambientali più ambiziose. Anticipando i tempi, l'Europa si sta
attrezzando per venire incontro a una crescente domanda di prodotti
innovativi, tali da consentire un uso più efficiente delle risorse. La
Commissione europea è convinta che vi siano tre settori che possono
creare occupazione netta: la salute, l'informatica e l'ambiente. Non
bisogna poi dimenticare che agire sull'ambiente e sull'efficienza
energetica significa diminuire la dipendenza da materie prime. C'è
quindi anche un importante risvolto politico e di sicurezza.
B.R.