BRUXELLES – La scelta di Francia e Germania di adottare una riforma bancaria che prevede la separazione tra attività di deposito e attività di investimento è discutibile. Da un lato, i Paesi hanno il merito di affrontare di petto un aspetto cruciale dello sconquasso finanziario. Dall'altro, però gli Stati perseguono ancora una volta la propria strada nazionale, disattendendo l'adozione di regole europee omogenee e contribuendo a una pericolosa segmentazione del mercato bancario comunitario.
Nei fatti, la decisione franco-tedesca riporta indietro
le lancette dell'orologio, ai tempi del Glass-Steagall Act americano del
1933. In Germania la banca che più verrà influenzata dal progetto
legislativo sarà Deutsche Bank, un istituto che sotto la guida del
precedente presidente Josef Ackermann è cresciuta nelle attività di
investimento. Solo negli ultimi anni, con l'acquisto di Postbank, la
banca di Francoforte si è rafforzata nelle attività di deposito per
trovare un nuovo equilibrio.
Per certi versi la crisi finanziaria è
stata aggravata proprio dalla presenza di istituti di credito impegnati
sui due fronti e che sono stati trascinati in alcuni casi al fallimento a
causa delle attività di investimento. In questo senso, la scelta di
Parigi e Berlino è comprensibile. Il problema è che l'iniziativa giunge
mentre le autorità comunitarie stanno lavorando a un piano europeo sulla
base di un rapporto presentato nell'ottobre scorso dall'ex banchiere
centrale finlandese Erkki Liikanen.
La relazione, che propone la
separazione tra le due attività, dovrebbe trasformarsi a breve in una
iniziativa legislativa. Nel giocare d'anticipo, Parigi e Berlino cercano
di influenzare il processo europeo. La mossa franco-tedesca è
l'ennesimo segnale di come i Paesi stiano prendendo iniziative
unilaterali, con il rischio di segmentare sempre più il mercato
bancario, tra le altre cose imponendo requisiti patrimoniali alle
società controllate che limitano nei fatti il rimpatrio dei loro
profitti alle case madri.
Mentre le autorità europee tentano di
arginare questa tendenza, una sentenza di qualche giorno fa rischia di
rafforzare la mano dei Governi. La Corte di giustizia dell'Efta,
l'associazione europea di libero scambio, ha stabilito che l'Islanda ha
avuto ragione nel rifiutare di indennizzare i correntisti all'estero
dell'istituto Landsbanki. Nel 2008, al momento del fallimento della
banca, il Governo islandese aveva deciso di non salvaguardare i
depositanti inglesi e olandesi titolari di un conto online.
Il
tribunale ha spiegato che l'Islanda così facendo non ha violato la
direttiva europea relativa alle garanzie sui depositi. Il testo è legge
anche nei Paesi dell'Area economica europea (Eea) di cui l'Islanda fa
parte. Commenta un alto funzionario europeo: purtroppo «la sentenza
rafforza nei Governi l'impressione che l'ombrello europeo è debole e che
devono proteggere il proprio sistema bancario e i propri cittadini. In
fondo, la decisione della Corte giustifica le scelte nazionaliste di
molti Stati membri».
B.R.