Al vertice informale che mercoledì sera ha riunito a Bruxelles i capi di stato e di governo dell'Unione è stata decisa la nascita di un comitato che rifletterà sul futuro della zona euro La stessa presenza nel comunicato finale del termine eurobond riflette bene la direzione presa dalla discussione tra i 27 paesi membri. Nel frattempo si moltiplicano i segnali interessanti provenienti dalla Germania. La settimana scorsa, ricevendo giovedì ad Aquisgrana il Premio Carlomagno, il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble ha parlato dell’urgenza “di creare ora una unione politica”. Ha ribadito la proposta di trasformare la Commissione in “esecutivo europeo”, con alla propria guida “un presidente europeo eletto a suffragio diretto dall’intera Unione”. Ha quindi messo l’accento sulla necessità di associare una maggiore integrazione di bilancio a una maggiore legittimità politica. Gli ha fatto eco da Berlino Jörg Asmussen, l'economista tedesco della Banca centrale europea, che lunedì in un lungo discorso ha spiegato: "I benefici dell'unione valutaria sono talmente eccezionali che dovrebbero essere stabilizzati da una maggiore integrazione, il che significa una unione di bilancio e una unione bancaria". Mercoledì è intervenuto il capogruppo del partito liberale al Bundestag Rainer Brüderle che in una intervista alla Deutschlandfunk ha detto che obbligazioni europee sono "concepibili" una volta introdotta maggiore disciplina di bilancio e riforme economiche. La Germania continua a pensare che una mutualizzazione dei debiti sia accettabile solo in cambio di un maggiore controllo comunitario delle politiche economiche nazionali. Agli occhi dei tedeschi, l'emissione di obbligazioni europee deve essere associata a una cessione di sovranità dalla periferia al centro.
Rimane cruciale una sentenza della Corte costituzionale di Karlsruhe del settembre scorso. "Il Bundestag – ha spiegato la Corte – non può partecipare alla creazione di meccanismi permanenti che attraverso accordi internazionali comportino l'assunzione di passività per decisioni volontarie di altri Stati, soprattutto se hanno un impatto difficile da calcolare". In altre parole, se le decisioni di politica economica dei diversi governi non fossero volontarie o unilaterali, ma invece imposte in qualche modo dai partner, la Germania non ostacolerebbe la nascita di eurobonds. In una intervista pubblicata questa settimana da Le Monde, il presidente della Bundesbank Jens Weidmann ha detto la stessa cosa ma con una espressione più colorita: "Non si dà la propria carta di credito a qualcuno se non si ha la possibilità di controllare le sue spese". Il cancelliere Angela Merkel lancia segnali ambigui. Prima del vertice di mercoledì sera, ha detto esplicitamente che "le obbligazioni europee non servono ad aiutare la crescita economica", ma quando in una conferenza stampa alle 2 del mattino le è stato chiesto quale fosse la sua posizione sugli eurobonds non li ha esclusi; piuttosto ha messo l'accento sulla necessità di "un più forte coordinamento economico nella zona euro". E' lecito chiedersi se l'ammorbidimento tedesco sia tattico – la paura di rimanere isolati in Europa – o più sostanziale, e rifletta quindi un processo di integrazione che bene o male è progredito, oltre che naturalmente l'accuirsi della crisi. Mi sembra prevalga la seconda tesi. Il dibattito è ancora confuso, e potrebbe riservare sorprese, tentennamenti e marce indietro, ma tendenzialmente quando la Germania inizia a macinare un tema politico, imboccare quella direzione è spesso solo questione di tempo. Mercati permettendo.
(Nella foto, scattata con il telefono cellulare, il presidente francese François Hollande durante la conferenza stampa di mercoledì notte a Bruxelles)
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