Antidoti contro il fallimento – 13/05/12

Questo libro non riguarda propriamente l'Italia – anzi il Paese è citato appena sette volte in quasi cinquecento pagine. Ma nel leggere Why Nations Fail, "Perché le nazioni falliscono", un volume appena pubblicato da due professori americani, Daron Acemoglu e James A. Robinson, il lettore non può fare a meno di riflettere sulla situazione di alcuni Stati europei; la Grecia prima di tutto ma anche l'Italia. Lo sconquasso debitorio ha messo l'accento sulle debolezze istituzionali, economiche e più generalmente sociali di Paesi che erano riusciti fino a poco tempo prima a nascondere a se stessi e agli altri le loro manchevolezze.
L'obiettivo di Acemoglu e Robinson – il primo insegna al Massachusetts Institute of Technology, il secondo a Harvard – è di capire perché nel mondo quasi un miliardo e mezzo di persone viva con meno di 1,25 dollari al giorno e perché alcuni Paesi siano incredibilmente ricchi e altri terribilmente poveri. Agli autori le spiegazioni religiose, climatiche, culturali non convincono. Com'è possibile, si chiedono, che due cittadine limitrofe come Nogales, nella regione messicana di Sonora, e Nogales, nello Stato americano dell'Arizona, siano così diverse da un punto di vista economico e sociale?
Il segreto sta nelle istituzioni che le governano. Fin tanto che le nazioni sono gestite da istituzioni estrattive, organizzazioni monopolistiche tese ad accapparrare risorse minerarie e ricchezze finanziarie, i Paesi saranno votati al lento declino o all'impossibile decollo. Viceversa, quando le nazioni sono governate da istituzioni inclusive, aperte alla concorrenza e all'esterno, il loro benessere è destinato a crescere. Il successo dei Paesi è il risultato di un delicato equilibrio tra libertà economica, pluralismo politico e uno Stato forte. Nonostante siano ripetitivi nel presentare la loro tesi, i due autori hanno scritto un bel saggio, ricco di paralleli storici.
Quando i portoghesi giunsero nel Regno del Congo alla fine del XV secolo portarono nel Paese africano la ruota e l'aratro. Il re Nzinga a Nkuwu si convertì al cattolicesimo, mentre la capitale congolese Mbanza contava sessantamila abitanti, quanti Lisbona e più di Londra. L'unica moderna tecnologia europea che mise veramente radice fu però l'arma da fuoco. A governare il Paese continuarono a essere alcune famiglie, sfruttando rendite di posizione piuttosto che aprendosi all'esterno, a tal punto che la popolazione congolese veniva tassata tutte le volte che al re cadeva a terra il berretto.
Poco è cambiato a cinque secoli di distanza. Le cricche di Mobutu e Kabila, le grosses légumes come vengono chiamate, continuano a gestire il Paese a loro uso e consumo. Nello stesso modo, secondo gli autori, le istituzioni estrattive stanno bloccando lo sviluppo della Sierra Leone e della Corea del Nord, di Haiti o della Somalia. Viceversa il Botswana è diventato a cinquant'anni dall'indipendenza – ai tempi aveva 22 laureati e quindici chilometri di strade asfaltate – il Paese con la ricchezza pro capite più elevata dell'Africa subsahariana, adottando istituzioni più moderne e meno retrive.
Il fallimento di un Paese ha sfaccettature economiche, ma anche politiche e sociali. Dopo un lungo periodo di benessere Venezia iniziò un lungo declino quando i membri del Gran Consiglio optarono per la cooptazione e decisero che i contratti di commenda, di cui tanto avevano beneficiato i nuovi mercanti, sarebbero stati fuori legge. Con un occhio all'attualità, il libro di Acemoglu e Robinson tenta di offrire una ricetta ai Paesi della primavera araba e di dare una chiave di lettura per capire il futuro della Cina, un Paese dotato di istituzioni meno inclusive di quelle di altre nazioni ma non per questo meno prospero.
A lettura terminata, come non pensare in un modo o nell'altro alla situazione italiana? La crisi degli ultimi anni ha messo in luce quanto il Paese sia segnato a modo suo da istituzioni estrattive: partiti politici, monopoli pubblici e privati, ordini professionali, rendite di posizione personali e relazioni familistiche. Gli autori di Why Nations Fail non lo citano, ma per l'Italia di oggi vale quanto scrisse nel 1790 Edmund Burke in un passaggio delle sue Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia: "Lo Stato che non ha i mezzi per introdurre cambiamenti, non ha i mezzi per assicurare la propria conservazione".

B.R.

Daron Acemoglu e James A. Robinson, Why Nations Fail – The origins of Power, Prosperity, and Poverty, Crown Publishers, New York, pagg. 540, $ 30,00