Dall'Italia o dal Belgio, dalla Spagna o dalla Francia, molti non se ne rendono conto, ma le divergenze tra le economie nazionali nella zona euro stanno assumendo contorni sempre più preoccupanti. Mentre in molti paesi la recessione economica sta pesando sulla disoccupazione e sulla domanda interna, in Germania l'economia rimane sorprendentemente robusta. Alcuni dati sono illuminanti: la disoccupazione tedesca è stata in febbraio del 5,7%, quando la media dell'unione monetaria è stata del 10,8%. In Francia si è fermata al 10%, in Italia al 9,3%, in Grecia e in Spagna è sopra al 20%. L'economia tedesca è cresciuta nel 2011 del 3,1%, quella italiana dello 0,4%, quella francese dell'1,7%. In cuor loro, i banchieri centrali sanno che i tassi d'interesse sono troppo bassi rispetto alle necessità dell'economia tedesca. Parlare di surriscaldamento è probabilmente esagerato, ma le autorità tedesche vivono con crescente nervosismo l'aumento dei prezzi dei beni immobiliari, in media del 5,5% nel 2011, con picchi del 10% a Monaco o a Berlino. La Bundesbank è critica della strategia della Banca centrale europea. Da un lato c'è la paura che l'abbondante liquidità immessa dalla BCE sul mercato possa creare pressioni inflazionistiche e bolle speculative, o indurre le banche a non risanare i propri bilanci. Dall'altro c'è il timore che la politica monetaria sia inappropriata per l'economia tedesca.
Il recente accordo salariale nella funzione pubblica, con un aumento del 6,3% su un periodo di 24 mesi, ha provocato non poche angoscie, tanto più perché associato a una politica monetaria particolarmente espansiva. Ieri il presidente della BCE Mario Draghi ha spiegato chiaramente che il costo del denaro rimane a livelli appropriati e che uscire dalla situazione d'emergenza è prematuro. Divergenze vi sono sempre state nella zona euro, fin dai primi anni dell'unione monetaria: basti pensare ai tempi quando la Spagna era in forte crescita e la Germania era in grave stagnazione. Ma le divergenze di oggi sembrano essere più pericolose. Prima di tutto, il paese che rischia di assistere a un aumento dell'inflazione è proprio quello che più teme l'inflazione: la Germania. In secondo luogo, le divergenze sono esacerbate da un punto di vista economico dalla drammatica crisi debitoria e da un punto di vista politico dalle crescenti tensioni sociali. Mentre la Germania avrebbe bisogno di tassi d'interesse più elevati, la Spagna o il Portogallo potrebbero avere la necessità di un costo del denaro più basso (ogg all'1%). Far quadrare il cerchio è per la BCE una sfida difficilissima. Quando ieri Draghi ha detto che i governi nazionali devono adattare la propria politica economica alla loro situazione locale non pensava soltanto ai paesi in crisi, ma probabilmente anche alla Germania. In una unione monetaria di stati sovrani, la Repubblica Federale potrebbe essere chiamata a raffreddare la propria economia con mezzi diversi dalla leva dei tassi d'interessi che le è preclusa. Citato dal Daily Telegraph nei giorni scorsi, un esponente della Bundesbank, Andreas Dombret, ha parlato della necessità di frenare "l'aumento del credito", magari attraverso un aumento delle imposte nelle contrattatazioni immobiliari. Non sarà facile, tanto più che tra un anno e mezzo si voterà in Germania per il rinnovo del Bundestag, ma è la sfida tedesca dei prossimi mesi. Il paese dovrà dimostrare non solo di avere lo sguardo lungo, ma anche di pensare europeo.
(Nella foto, il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi. In secondo piano il suo vice, Vítor Constâncio)
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