SAARBRÜCKEN – Intrattenere gli spettatori prima dello spettacolo non è facile. Soprattutto quando il protagonista è Oskar Lafontaine e il teatro è una piazza di Saarbrücken, la capitale della sua regione natale. Qualche giorno fa se ne è accorto il poveretto incaricato di arringare la folla in attesa del leader politico: a sorpresa sono scattati gli applausi, le urla e i fischi. Il malcapitato non è neppure riuscito a terminare la frase, costretto a farsi da parte mentre sul palco improvvisamente saliva uno dei personaggi più carismatici della politica tedesca.
Lafontaine, 66 anni, gioca in casa nel Saarland: ne è stato ministro presidente dal 1985 al 1998, dopo essere stato per nove anni sindaco di Saarbrücken. Ai tempi era un dirigente del partito socialdemocratico. Oggi è alla guida di Die Linke, il movimento della sinistra radicale fondato da ex comunisti ed ex socialdemocratici in opposizione all'Spd.A fine agosto il partito ha provocato un terremoto politico, raccogliendo oltre il 21% dei voti in questa piccola regione della Germania ovest, incuneata fra la Francia e il Lussemburgo.
Mai finora Die Linke- letteralmente "la sinistra" – aveva messo a segno un risultato così buono in un Land occidentale. Ormai i sondaggi nazionali in vista del voto federale di domenica le danno tra il 10 e il 12% dei voti. Come faceva notare di recente il Financial Times Deutschland, «in cinque anni il partito di Lafontaine è riuscito a fare quello che i Verdi hanno fatto in trent'anni». Die Linke attira ex comunisti nostalgici della Ddr ed ex socialdemocratici delusi da un partito troppo riformista, oltre al voto di protesta.
«Dietro al successo di Die Linke alla regionali nel Saarland spiega Clemens Zimmermann, professore all'Università di Saarbrücken- ci sono due fattori. Prima di tutto la personalità di Lafontaine: è considerato un lande-svater, un padre della regione. È carismatico, la gente lo apprezza: durante il suo mandato alla guida del Land ha lavorato per ristrutturare un'economia tutta incentrata sul carbone. Poi gioca senza dubbio il carattere localista di una regione di frontiera che per quasi un secolo è stata, a seconda dei periodi, francese o tedesca».
Uno dei suoi biografi, Joachim Hoell, spiega che Lafontaine ha fatto della provocazione e della polemica le sue armi politiche. Nel 1989 voleva limitare il libero movimento dei tedeschi dell'est nella nuova Germania unita, e fu accusato di non voler l'unificazione. Poi, alla fine degli anni 90, mentre la socialdemocrazia europea si spostava verso il centro seguendo le orme di Tony Blair, il "Napoleone del Saarland" indicava la necessità «di regolamentare i cambi» e «frenare gli eccessi del mercato».
Nel comizio di questa settimana a Saarbrücken, Lafontaine ha mostrato le ragioni del suo successo, anche a ovest. Mentre in tempi di crisi i democristiani e i socialdemocratici si affidano a slogan retorici – "Abbiamo la forza" o "Il nostro paese può di più" – Die Linke è concreta: vuole introdurre il salario minimo generalizzato, abolire la legge che prevede il pensionamento a 67 anni, ritirare (senza se e senza ma) i soldati dall'Afghanistan, cancellare le riforme liberali fatte dal cancelliere Spd, Gerhard Schröder, nella prima metà del decennio.
«Non so ancora per chi votare », spiega Josef Stock, un tecnico di 41 anni. «Sono venuto – aggiunge – ad ascoltare Lafontaine per farmi un'idea. Sono deluso dall'Spd,che ha perso la sua identità nella grande coalizione con i democristiani». Dietro al voto del 27 settembre si nascondono non pochi interrogativi su una sinistra tedesca drammaticamente divisa. Gli osservatori non si chiedono solo se a livello federale i due partiti governeranno insieme a un certo punto; si domandano anche se non dovranno puntare a una fusione.
«La scissione del 1917 – spiegava di recente un commentatore della Süddeutsche Zeitung – è uno degli avvenimenti più traumatici della socialdemocrazia tedesca. Le due anime del movimento operaio tedesco si divisero in due partiti. " Il cambiamento attraverso il riavvicinamento" era lo slogan della Ostpolitik di Willy Brandt. È ciò di cui hanno bisogno oggi i due movimenti della sinistra tedesca. Altrimenti né l'Spd né Die Linke possono sperare in un futuro radioso».
Qualche settimana fa Lafontaine non ha escluso una fusione con l'Spd a medio termine. Ma per ora tra i socialdemocratici prevale la prudenza per un partito poco strutturato, infiltrato – si dice – da ex agenti della Stasi, diviso tra ex con esperienze diverse e obiettivi contrastanti. «La mia previsione – dice Zimmermann – è che non durerà». Intanto però Die Linke non ha solo spaccato la sinistra; ha anche scardinato un sistema politico ormai composto da cinque partiti, aprendo a nuove possibili coalizioni di governo.
Con il voto di domenica, Lafontaine ritorna con forza sulla scenanazionale dopo essere sopravvissuto a crisi politiche, accuse di populismo e attacchi personali: fu accoltellato alla carotide nel 1990, rischiando la vita. Vive a Saarlouis in una grande villa che la gente chiama ironicamente "il palazzo della giustizia sociale". Gregor Gysi, l'altro leader di Die Linke, ha detto: «Un uomo di sinistra non deve essere povero, ma deve lottare contro la povertà». Una dichiarazione che probabilmente Lafontaine approva.
B.R.