FRANCOFORTE – Chi aveva detto che il sindacato era morto, destinato a una scomparsa prematura? Improvvisamente, la grande partita automobilistica di questi giorni in Germania ha ridato lustro alle organizzazioni sindacali, complice anche la grave crisi economica. Tra Opel e Fiat, tra Porsche e Volkswagen, la sfida non è solo politica, finanziaria o industriale, è anche prettamente sindacale.
Non passa giorno senza che i rappresentanti
dei lavoratori facciano sentire la loro voce, indichino le loro
preferenze, minaccino scioperi. Mentre Opel tratta con Fiat, e
Volkswagen negozia con Porsche, i sindacalisti intervengono in
televisione, incontrano i potenziali acquirenti, tentano di influenzare
per quanto possibile la trattativa. Klaus Franz, Uwe Hück e Bernd
Osterloh sono ormai più popolari dei dirigenti delle aziende per cui
lavorano.
«È evidente che la partita automobilistica è vista dai
sindacati tedeschi come l'occasione per rafforzare il loro potere –
spiega Martin Henssler, professore di diritto del lavoro all'Università
di Colonia –. In questi casi specifici, godono di una posizione di
forza e vogliono approfittarne, cavalcando la crisi economica, le
prossime elezioni e le critiche alla deregolamentazione degli ultimi 15
anni».
Franz è alla guida del consiglio di fabbrica di Opel dal
2000. Spesso abbronzato, i baffi biondicci, il sindacalista 57enne di
Rüsselsheim è persona sorridente e disponibile. Risponde veloce alle
email ed è un evidente uomo di relazione. «È alla Opel dal 1975 –
racconta una persona che lo conosce bene –. Della società sa tutti i
segreti, meglio di molti alti dirigenti passati di qui. E i dipendenti
hanno piena fiducia in lui».
È stato il primo a opporsi alla
fusione tra Fiat e Opel, per paura degli esuberi. Non si è limitato a
dare interviste e a tenere comizi. Questa settimana è volato in Austria
per discutere personalmente con Magna, il concorrente più temibile
della società italiana nella corsa alla casa tedesca. Mentre a sorpresa
Franz non è membro di alcun partito, Hück, 47enne presidente del
consiglio di fabbrica di Porsche, non nasconde le sue simpatie per il
partito socialdemocratico.
Appassionato di pugilato thailandese,
Hück non vuole la fusione tra Porsche e Volkswagen, così come ideata da
Ferdinand Piëch, azionista di Porsche e presidente del consiglio di
sorveglianza di VW. Il sindacalista ha scaldato lunedì i seimila
lavoratori riuniti per ascoltarlo: «Voi siete il capitale!». E ha
aggiunto, secondo il quotidiano Handelsblatt: «Siatene consapevoli.
Siamo noi in 70 anni ad avere creato questa società».
Nella sua
battaglia contro Piëch, Hück può contare (per ora) sull'appoggio del
cugino di quest'ultimo, Ferdinand Porsche, in un confronto tutto
famigliare. Il sindacalista teme che Porsche finisca nel calderone
della Volkswagen, dove perderebbe la sua autonomia e uno stile di
cogestione più lasco che in altre imprese tedesche. In questo senso,
nel suo mirino c'è anche il collega Bernd Osterloh, presidente del
consiglio di fabbrica della VW.
È stato quest'ultimo a indurre la
sospensione temporanea delle trattative di fusione con Porsche, poi
riprese. Ha paura dell'elevato indebitamento della società di Stoccarda
o teme con l'arrivo di Porsche cambiamenti troppo radicali nelle
abitudini di cogestione della casa di Wolfsburg? Poco importa: l'uomo,
nato nel 1956, è vicino al management e al personale, e sta
influenzando non poco i negoziati con Porsche.
Sostituendo Klaus
Volkert, che in passato è stato coinvolto in prima persona in un
clamoroso scandalo di corruzione, Osterloh gioca la carta della
trasparenza, del legame con i lavoratori. Dice pubblicamente di
guadagnare 6mila euro al mese al lordo delle tasse, assai meno dei
360mila euro che Volkert intascava all'anno quando sedeva nel consiglio
di sorveglianza della prima casa automobilistica d'Europa.
Franz,
Hück, Osterloh: tre sindacalisti ormai imprescindibili, anche se
talvolta paradossalmente su fronti opposti. Nota ancora Henssler: «Nei
negoziati tra OpelFiat e VW-Porsche sono in posizione di forza. È vero,
sono vicende particolari, ma per i sindacatiè l'occasione per
rafforzarsi».
B.R.