La Germania censisce i grandi cantieri – 14/04/09

FRANCOFORTE – Alla fine di marzo, durante un viaggio poco pubblicizzato in Europa, il primo ministro mongolo, Sanjaagiin Bayar, ha fatto tappa a Francoforte. Ne ha approfittato per visitare la sede di Deutsche Bank, nel centro della città: «Il mio obiettivo – ha detto Bayar in questa occasione – è di illustrare agli imprenditori tedeschi le opportunità che offre la Mongolia nel grande settore delle infrastrutture».

Mentre la recessione attanaglia l'economia mondiale e il commercio internazionale si contrae per la prima volta negli ultimi decenni, c'è un settore economico in piena espansione, o almeno molto promettente. È quello delle opere pubbliche. Non c'è praticamente Paese al mondo che non abbia lanciato negli ultimi mesi nuovi progetti infrastrutturali per ridare slancio alla congiuntura e rallentare l'aumento della disoccupazione.
Il modello (spesso non citato) è la Tennessee Valley Authority: voluto dal presidente americano Franklin D. Roosevelt nel 1933, in piena Grande Depressione, il progetto finanziato dallo Stato, ma gestito tendenzialmente come se fosse un'impresa privata, aveva come obiettivo di rivitalizzare e modernizzare una delle regioni più povere degli Usa. Furono costruiti canali fluviali, centrali elettriche, dighe e strade.
L'iniziativa è ricordata come una delle idee più utili di quel periodo. Oggi molti Paesi stanno cercando in un modo o nell'altro di imitarla. Un ente pubblico tedesco dedicato alla promozione economica ha appena pubblicato uno studio sui tanti progetti infrastrutturali in giro per il mondo. Il Germany trade and invest (Gtai) calcola che in un gruppo selezionato di 14 Paesi i piani di opere pubbliche hanno un valore totale di 1.500 miliardi di euro.
L'analisi del Gtai non è fine a se stessa; piuttosto è il tentativo di presentare alle grandi società tedesche un quadro delle opportunità che la crisi economica potrebbe offrire loro. «Il programma infrastrutturale del presidente Barack Obama – spiega Michael Pfeiffer, presidente dell'ente pubblico tedesco – è particolarmente interessante per le nostre imprese: riguarda infatti energia, costruzioni, ambiente e infrastrutture».
Ma gli Usa o la Mongolia sono solo due esempi. Aggiunge Pfeiffer: «Vale la pena di dare un'occhiata ad altri Paesi, non sempre osservati con attenzione dalle imprese: penso in particolare a Taiwan, Singapore, Hong Kong, Kazakhstan, Repubblica Ceca, Arabia Saudita, Sudafrica o Qatar». Pur messa a punto per le aziende tedesche, l'analisi del Gtai si rivela interessante anche in un'ottica europea, e italiana in particolare.
In Europa dell'Est, per esempio, l'ente legato al ministero federale dell'Economia nota che vi sono generosi investimenti pubblici nella rete stradale e nella raccolta rifiuti. In Sudafrica e in Brasile, due Paesi in cui si svolgeranno i Campionati mondiali di calcio rispettivamente nel 2010 e nel 2014, vogliono modernizzare gli aeroporti, gli stadi, i centri cittadini e le reti metropolitane.
I Paesi del Golfo non sono da meno. Siemens ha appena firmato negli Emirati Arabi Uniti un contratto da 350 milioni di euro per la costruzione di un impianto di desalinizzazione. In Arabia Saudita, la famiglia regnante vuole costruire entro i prossimi 15 anni una nuova città, grande quanto Washington. Tra Bahrain e Qatar è in progetto la costruzione di un ponte di 45 km del costo di 4-5 miliardi di dollari.
Mentre la Cina ha deciso di investire 286 miliardi di dollari nei trasporti, l'India ha messo da parte 250 miliardi di dollari da spendere nel grande settore energetico. In Giappone, il Governo ha messo a punto invece un piano di stimolo all'economia che prevede investimenti nell'informatica per 6 miliardi di yen. A Singapore è previsto l'ammodernamento della rete metropolitana entro il 2020: il bilancio è di 21 miliardi di euro.
Certo, anche nel campo dei progetti infrastrutturali potrebbero emergere spinte protezionistiche, come ha dimostrato la clausola "Buy American" negli Stati Uniti. I ricercatori del Gtai ne sono più che consapevoli, tanto che nel loro studio hanno suddiviso i vari Paesi a seconda del rischio protezionismo. Il pericolo maggiore potrebbe esservi in Asia e in Sudamerica, meno in Africa o Nord America.
«Vi sono su questo fronte molte differenze tra i Paesi. Le imprese che hanno una propria filiale in loco sono certamente avvantaggiati – avverte Ernst Leiste, del Gtai a Colonia -. Oltre alla minaccia del protezionismo dobbiamo tenere conto anche degli ostacoli burocratici e della lunghezza delle procedure d'asta».
Sbilanciata sul versante dell'export, la Germania soffre della frenata dell'economia. In questo senso, la Repubblica federale ha un interesse particolare a evitare un'ondata di protezionismo e a cogliere tutte le opportunità della crisi, anche in Mongolia. «Registriamo da parte dei nostri clienti – ha detto non a caso il banchiere di Deutsche Bank Stephan Leithner in occasione della visita del premier mongolo – un crescente interesse economico per questo Paese emergente».

B.R.