Per certi versi questa crisi economica e finanziaria ci riporta agli anni 90, quando il tema principale in Europa erano la convergenza macroeconomica e il divario tra i rendimenti obbligazionari dei Paesi che si apprestavano a formare una unione monetaria. Oggi come ieri i mercati sono preoccupati dall'andamento dei conti pubblici e stanno penalizzando gli Stati membri meno virtuosi, come mostra il grafico pubblicato a fianco e tratto dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung. Secondo le ultime previsioni della Commissione Europea, il deficit della zona euro salirà dall'1,7% del prodotto interno lordo nel 2008 al 4,0% nel 2009 e al 4,4% nel 2010. Il rapporto tra debito e Pil registrerà un balzo ancor più impressionante, dal 68,7 al 72,7 e poi successivamente al 75,8%. La stima del 2010 è di 8,2 punti percentuali più elevata delle previsioni dell'autunno scorso. In privato a Bruxelles molti lasciano intendere che la recessione rischia di essere peggiore del previsto e di avere un impatto sulle finanze pubbliche ancora maggiore. Nei giorni scorsi il ministro delle Finanze tedesco Peer Steinbrück ha spiegato: "Certamente l'aumento degli spreads non è stato fermato. Se il divario continuerà a crescere non lo so". Proprio la Grecia, uno dei Paesi più in difficoltà, ha emesso nei giorni scorsi obbligazioni quinquennali con un rendimento di oltre tre punti percentuali superiore a quello tedesco. Tre Paesi hanno subito una revisione al ribasso del loro rating sul debito sovrano: oltre alla Grecia, anche il Portogallo e la Spagna. La Germania (per ora) ha respinto l'idea di emettere un'obbligazione europea con rendimenti bassi, tali da aiutare i Paesi più in difficoltà. Steinbrück ha detto che un'operazione di questo tipo provocherebbe un aumento quasi automatico del rendimento dei titoli tedeschi di un punto percentuale che equivarrebbe a un incremento del servizio del debito di tre miliardi di euro all'anno.
Non è chiaro se l'idea di un'obbligazione europea possa tranquillizzare i mercati ed evitare il rischio di fallimento di uno Stato membro della zona euro. La reazione tedesca è quindi comprensibile, ma ancora una volta nel respingere questa ipotesi la Germania dà l'impressione di pensare nazionale, anziché europeo. Da questo punto di vista è interessante il libro di David Marsh, giornalista inglese di affari monetari, che uscirà nelle prossime settimane presso la Yale University Press e di cui ho ricevuto le bozze. Il volume–intitolato The Euro – The Politics of The New Global Currency–contiene molti aneddoti su come è nata la zona euro e soprattutto dà voce ad alcuni esponenti tedeschi. Karl-Otto Pöhl, presidente della Bundesbank dal 1980 al 1991, spiega a Marsh che dal suo punto di vista "è stato un errore fare entrare l'Italia (nell'euro, ndr) (…) L'Italia non ha fatto buon uso delle positive condizioni di partenza dell'Unione monetaria, in particolare il calo significativo dei tassi d'interesse che ha fortemente ridotto il costo del servizio del debito italiano. Fra non molto, l'aumento del divario di competitività con gli altri Paesi metterà l'Italia in una posizione critica. D'altro canto, non è realistico pensare che l'Italia possa uscire dall'Unione monetaria". Quanto più rimane nella zona euro – aggiunge Pöhl – tanto più il prezzo da pagare per uscirne sarebbe elevato. Non c'è dubbio che questa crisi economica e finanziaria porterà al pettine molti dei nodi irrisolti di questi ultimi dieci anni. Ciò detto, sarebbe un peccato se la Germania si limitasse a recriminare sul passato, anziché proporre nuove soluzioni in un'ottica europea.
PS del 20 febbraio: collegato a questo tema, segnalo un nuovo sviluppo trattato in questo articolo del Sole/24 Ore pubblicato il 19 febbraio 2009.