La Bce impara dagli errori dello shock petrolifero – 16/05/08

FRANCOFORTE – Ancora ieri la Banca centrale  europea, nel bollettino di maggio, ha lanciato un nuovo allarme sul fronte dell’inflazione. I segnali sono chiari: non vi sono (per ora) allentamenti monetari in vista nella zona euro. Una chiave di lettura per capire la politica monetaria della Bce è contenuta nell’esperienza  di 30 anni fa.

I termini del problema sono chiari: la crescita è destinata a rallentare nei prossimi mesi, ma l’inflazione, complice il forte aumento del prezzo del petrolio, è elevata. Nonostante le pressioni degli ambienti politici e dei mercati finanziari, la Bce ha preferito finora evitare allentamenti monetari che invece hanno avuto luogo in Gran Bretagna o negli  Stati Uniti.
Una delle ragioni è da ricercare  negli anni ’70. Ad Atene di recente, il presidente Jean-Claude Trichet ha dato alcune indicazioni. «Quei Paesi che tentarono di cancellare l’impatto dello shock petrolifero sulle loro economie hanno sofferto» più dei Paesi che invece hanno preso atto dell’aumento dei prezzi e reagito di conseguenza.
Di più Trichet non ha detto. Ieri a Firenze, Lorenzo Bini Smaghi, membro del board della Bce, ha precisato l’analisi dell’istituto monetario. Il banchiere ha messo l’accento sui quattro errori da non commettere  in questo momento di crisi finanziaria, elevata inflazione e incertezza economica (nonostante i buoni dati del primo trimestre).
L’economista ha sostenuto come sia necessario evitare qualsiasi indicizzazione salariale, la nascita di barriere protezionistiche, interventi a favore della stabilità finanziaria che poi si traducono nel salvataggio di imprese senza che il responsabile paghi il prezzo dei suoi errori, e infine politiche di stimolo della domanda (tramite riduzioni delle  tasse o dei tassi).
«Il confronto – ha spiegato Bini Smaghi, riferendosi agli eventi degli anni ’70 – tra l’esperienza della Germania, che evitò lo strumento monetario e fiscale per compensare la perdita di potere d’acquisto determinata dall’aumento del prezzo del petrolio, e quella dell’Italia che invece cercò di stimolare la domanda interna, è senza appello».
L’economista italiano ha poi aggiunto: «L’economia tedesca e quelle degli altri Paesi che seguirono la stessa via, uscirono più forti da quella difficile fase di aggiustamento, rispetto ai Paesi come l’Italia che invece seguirono l’illusione di politiche keynesiane e crearono soltanto maggiore inflazione» e un netto aumento di debito e deficit.
In Italia, la politica monetaria comportò tassi d’interesse reali  negativi per quasi dieci anni e un’inflazione che toccò un picco intorno al 25 per cento. In Germania, in compenso, i tassi reali rimasero positivi (salvo brevi periodi di tempo), e l’inflazione oscillò tra il 1971 e il 1981 intorno al 5 per cento. È  evidente che la Bce voglia evitare errori all’italiana.
L’esperienza della Bundesbank ha lasciato quindi il segno nel mondo delle banche centrali, come anticipava la Banca per i regolamenti internazionali di Basilea in un articolo del 2005. Il messaggio è chiaro: di allentamento monetario si potrà parlare nella zona euro soltanto se e quando la Bce sarà convinta che l’inflazione e le aspettative sui prezzi sono pienamente sotto controllo.
B.R.

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