Lo sguardo dell’establishment comunitario è tutto rivolto al prossimo referendum costituzionale italiano di inizio dicembre. Il voto è considerato giustamente importante. Non solo perché dalla consultazione dipenderà il prossimo assetto istituzionale dell’Italia. Non solo perché in ballo c’è il futuro dell’attuale presidente del Consiglio Matteo Renzi. Ma anche perché il voto deve considerarsi un termometro per capire se e quanto il paese sia ancora affezionato all’Europa. In un primo tempo l’attenzione dei partner italiani era rivolta alla riforma costituzionale in sé, così come è stata preparata dal governo. Molti hanno considerato la riforma del Senato e l’abolizione del bicameralismo paritario un passo avanti per rendere più efficiente l’iter legislativo. Successivamente, molti hanno capito che dall’esito della consultazione sarebbe dipeso il futuro dell’attuale premier, pronto a dimettersi nel caso il voto fosse negativo; e si sono quindi preoccupati per un eventuale periodo di instabilità politica. Oggi, alla luce della campagna elettorale, il referendum è da considerare anche un momento non banale per valutare l’europeismo italiano, con tutte le conseguenze del caso. Votare No significa in buona sostanza votare No alla riforma costituzionale, ma anche No al governo che l’ha preparata, No al presidente del Consiglio che l’ha difesa strenuamente, e infine No alla linea politica del governo italiano finora in linea con i principi comunitari. Alla luce del dibattito pubblico, il significato del referendum va ben oltre quindi la riforma del Senato. Il premier lo ha organizzato per tentare di rafforzare il suo potere, come fece l’ormai ex premier britannico David Cameron quando mise al voto senza fortuna il futuro del Regno Unito nell’Unione. L’opposizione usa il voto per fare cadere il governo. I partiti anti-sistema usano la consultazione come voto di sfiducia contro l’Europa. Non per altro, mercoledì scorso a Strasburgo, il leader del Fronte Nazionale francese, Marine Le Pen, ha dichiarato, rivolgendosi alla Commissione europea: “Polacchi, ungheresi, olandesi vi stanno volgendo le spalle e presto anche gli italiani, che nel prossimo referendum, un referendum sulla UE, voteranno contro”. Da tempo ormai, il paese non è più affezionato al progetto europeo come in passato. Secondo l’ultimo Eurobarometro, il 68% degli italiani ritiene che il voto del suo paese non conti in Europa, il 44% è pessimista sul futuro dell’Unione, il 27% ha una immagine negativa dell’Europa (e solo il 32% l’ha positiva). Altri paesi sono curiosamente più europeisti. I motivi sono molti: all’Europa viene rimproverata la perdurante crisi economica, ma anche la richiesta comunitaria di impopolari riforme economiche, come il risanamento dei conti pubblici, che rimetterebbero in discussione l’assetto familistico della società italiana. Una vittoria dei No nel referendum sancirebbe l’euroscetticismo in Italia, in un momento in cui il paese è per molti versi l’ago della bilancia di una Unione in bilico tra integrazione e disintegrazione. Se l’analisi è giusta, vi sono due conseguenze prevedibili. La prima è che la Commissione europea cercherà del suo meglio per evitare che il braccio di ferro sulla Finanziaria per il 2017 crei troppe turbolenze al governo. Bruxelles vorrà difendere i principi e le regole del Patto di Stabilità e di Crescita, ma senza mettere a repentaglio la stabilità del governo Renzi. La seconda conseguenza riguarda il premier italiano. Per vincere il referendum, è probabile che giocherà la carta dell’euroscetticismo, o comunque che criticherà l’Europa per rassicurare gli elettori attirati dal No che egli dopotutto è l’uomo giusto per difendere gli interessi italiani a Bruxelles. C’è quindi da prevedere un mese e mezzo di dichiarazioni tempestose, in particolare prima, durante e dopo il prossimo vertice europeo di fine mese.
(Nella foto, il presidente del Fronte Nazionale Marine Le Pen con il leader della Lega Nord Matteo Salvini)
NB: Dal fronte di Bruxelles (ex GermaniE) è anche su Facebook