Riforma della zona euro – Germania, Spagna, Italia: Quando la debolezza dei paesi è un ostacolo all’integrazione

Vi è un aspetto nel lungo processo di integrazione europea che si sta confermando in questo periodo. Quanto più un paese è debole, tanto meno sarà pronto a trasferire poteri dalla periferia al centro, contribuendo a un nuovo assetto comunitario. Il paese tenderà a richiudersi su se stesso e a difendere lo status quo. Tre esempi sono all’ordine del giorno in questo momento, e riguardano la Germania, la Spagna e l’Italia.

A Berlino è nato un nuovo governo di grande coalizione democristiano-socialdemocratico. È in una fase di rodaggio, ma sembra evidente la sua fragilità, per via anche di un equilibrio precario tra le due anime dell’alleanza. Martedì prossimo al Bundestag, secondo l’eurodeputato ecologista tedesco Sven Giegold, il gruppo parlamentare CDU-CSU potrebbe votare contro la futura trasformazione del Meccanismo europeo di Stabilità (ESM) in Fondo monetario europeo. 800px-horst_seehofer_november_2015La Commissione europea ha proposto che il cambiamento avvenga all’unanimità dei paesi membri nel Consiglio. CDU-CSU vogliono invece una modifica dei Trattati. Quest’ultima è praticamente impossibile, tenuto conto che in numerosi paesi sarebbe necessario un referendum confermativo e molti governi sono contrari a perseguire questa strada politicamente rischiosa.

Perché questa scelta dei democristiani tedeschi? Temo vi sia il desiderio di rallentare il processo di riforma della zona euro dinanzi alla forza crescente del partito euroscettico Alternative für Deutschland che a destra sta raccogliendo voti a danno della CDU-CSU. L’AfD oscilla minacciosamente intorno al 14-15% delle intenzioni di voto, mentre due importanti Länder si preparano al voto nel 2018: l’Assia e la Baviera. La cancelliera federale Angela Merkel potrebbe riuscire a convincere il gruppo parlamentare a evitare la presa di posizione sul futuro dell’ESM-FME, ma la questione della debolezza del governo e quindi della Germania resta aperta.

Guardiamo ora alla Spagna. Il paese è alle prese da mesi con il desiderio di indipendenza della Catalogna, che sta mettendo a dura prova l’unità del paese e la tenuta del governo. Su due fronti europei Madrid sta ponendo non poche condizioni. Il primo aspetto riguarda la dichiarazione con la quale l’Unione europea intende rilanciare, in un summit in maggio a Sofia, il rapporto di partenariato con i Balcani occidentali. Il governo Rajoy non vuole firmare una dichiarazione insieme ai sei paesi della regione, tra cui il Kosovo. Con un occhio alla situazione catalana, la Spagna ancora non ha riconosciuto l’indipendenza del piccolo paese balcanico. Si stanno negoziando a livello diplomatico alternative cosmetiche.

Vi è un altro aspetto sul quale Madrid sta facendo ostruzionismo: l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione. La Spagna ha chiesto e ottenuto di avere l’ultima parola sull’accordo di divorzio e sull’intesa di partenariato per quanto riguarda lo status di Gibilterra, un territorio d’oltremare britannico non riconosciuto dalla Spagna. Anche in questo caso, come nella vicenda del Kosovo, lo sguardo del governo Rajoy corre alla possibilità di creare eventuali precedenti politici che i catalani potrebbero usare a Barcellona. Le trattative tra Londra e Bruxelles sono rese più difficili dalla posizione spagnola.

Infine l’Italia. Il paese è al lavoro per formare un nuovo governo da oltre un mese dopo che il voto del 4 marzo non ha dato risultati chiari. In assenza di un nuovo governo, la debolezza del paese sul piano europeo è evidente, e si somma a quella strutturale del debito pubblico. La posizione italiana al tavolo europeo è fragile, non solo perché il debito elevato è una palla al piede (in qualsiasi trattativa un creditore è più forte di un debitore, poco importa se il debito è in mani nazionali). Dietro al debito elevato si nasconde un assetto sociale, segnato da familismo e clientelismo, che il paese sta difendendo con i denti e con le unghie a Bruxelles, chiedendo tra le altre cose flessibilità di bilancio. Qualsiasi trasferimento di poteri dalla periferia al centro è ostacolato dall’Italia se questo stesso trasferimento comporta un controllo comunitario sul debito ed è quindi ritenuto una minaccia per il delicato equilibrio sociale italiano.

In buona sostanza, al di là dei dubbi specifici su alcuni aspetti della riforma della zona euro, in particolare il completamento dell’unione bancaria, su cui i Diciannove discuteranno nel prossimo vertice europeo di giugno, la partita sul futuro dell’Unione appare complicata dalla debolezza nazionale di alcuni paesi. Peraltro, la stessa debolezza complica il lavoro delle istituzioni comunitarie nel gestire i poteri che queste hanno a livello europeo, chiamate come sono ad adattare le regole alle esigenze di ognuno, indebolendo la credibilità di tutto l’assetto.

(Nella foto, il leader cristiano-sociale bavarese Horst Seehofer, 68 anni, nuovo ministro degli Interni in Germania)

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