Integrazione della zona euro – L’Olanda, la nuova Gran Bretagna dell’Unione

Cristoforo Fracassi Ratti Mentone di Torre Rossano fu un diplomatico italiano del primissimo dopoguerra. Tra le sedi in cui lavorò vi sono la Spagna, l’Egitto e il Sud Africa. Nella diplomazia italiana è ricordato per via di un suggerimento che tuttora sembra essere seguito dai diplomatici italiani. In assenza di istruzioni da Roma, diceva Cristoforo Fracassi, il funzionario italiano nelle riunioni comunitarie dovrebbe fare il contrario di quanto deciso dalla sua controparte olandese.

Chi conosce bene l’Europa è convinto che il vero ostacolo a una maggiore integrazione europea sia l’Olanda, e non una Germania troppo spesso definita dominante e unilaterale. mark-rutte-looking-at-the-pvdaSpiega un funzionario francese: “Non riusciamo a capacitarcene. Come possa un paese fondatore dell’Unione essere così rigido nelle trattative in vista di un rafforzamento dell’unione monetaria…”. Il quotidiano fiammingo belga De Standaard titolava a fine gennaio definendo il primo ministro olandese Mark Rutte “L’europeo Mister No”. In precedenza, in una intervista al quotidiano olandese NRC Handelsblad, l’ex presidente del Consiglio europeo, il belga Herman van Rompuy, aveva affermato: “L’Olanda deve dire più spesso Sì all’Europa”.

Parlando a Berlino venerdì scorso, il premier Rutte non poteva essere più chiaro: “L’idea che non ci possa che essere una unione sempre più stretta in uno stato federale europeo non mi piace”. Francia e Germania stanno preparando proposte per il futuro dell’unione monetaria. “Valuteremo le proposte sul futuro della zona euro sulla base di un solo criterio – aveva detto in precedenza l’uomo politico olandese – aiuteranno i paesi a riformare la loro economia e a rimettere ordine nelle loro finanze pubbliche?”.

A metà febbraio, lo stesso primo ministro si era recato sempre a Berlino per discutere del prossimo bilancio comunitario 2021-2027. In quella occasione, l’uomo politico ha spiegato alla cancelliera tedesca Angela Merkel che il suo paese “non potrà accettare un aumento della sua quota nel prossimo budget”. Venerdì, ancora nella capitale tedesca, ha proposto tagli del 70% nei sussidi all’agricoltura e nei fondi alla coesione. Qualche giorno fa, parlando al Financial Times, il ministro delle Finanze olandese Wopke Hoekstra ha detto che l’Olanda vuole norme che prevedano la ristrutturazione del debito pubblico dei paesi membri nel caso questi ricevano aiuto dal Meccanismo europeo di Stabilità (ESM). L’idea non piace né alla Francia, né all’Italia, per il timore che possa provocare nuova volatilità sui mercati. E’ una scelta “essenziale” per proteggere il denaro dei contribuenti, ha detto invece il ministro Hoekstra.

L’attuale governo in Olanda è di centro-destra. Le cose non sarebbero molto diverse se fosse di un altro colore politico. “In Olanda, la partenza del Regno Unito dall’Unione è vissuta da un punto di vista politico con tristezza”, spiega Luuk van Middelaar, professore alle università di Lovanio e di Leiden, ex consigliere di Hermann Van Rompuy. “Per decenni, il paese è stato il mediatore fra tre grandi influenze europee: francese, tedesca e inglese. Con Brexit, si scopre un fianco”. D’altro canto, i Paesi Bassi sono in una situazione molto particolare. Storicamente, guardano al grande largo. Fin dal Secolo d’Oro, la loro proiezione è internazionale più che europea. Popolo di commercianti, gli olandesi hanno legami contrastanti con il continente. Hanno contribuito alla fondazione dell’Unione nel 1957, ma più che altro trascinati dai vicini del Belgio e del Lussemburgo in una intesa del Benelux nata nel 1948.

Più in generale, gli olandesi possono essere tanto cosmopoliti quanto ottusi, tanto tolleranti quanto intransigenti. La loro puntigliosa attenzione alle regole è dettata tra le altre cose dalla particolarissima condizione geografica. Il tasso di densità della popolazione è elevatissimo: 450 abitanti per chilometro quadrato (un tasso che sale a 900 abitanti per km2 nella regione del Randstad, tra Rotterdam, L’Aja, Amsterdam e Utrecht). Una meticolosa organizzazione è un indispensabile garante dell’ordine sociale su un territorio che per il 25% è sotto al livello del mare e che deve regolarmente fare i conti con innondazioni e allagamenti.

Mentre la Gran Bretagna si appresta a lasciare l’Unione europea, l’Olanda si sta quindi facendo il nuovo porta-bandiera dei temi che tradizionalmente Londra ha sempre difeso a livello europeo: il mercato unico, il libero commercio, l’ortodossia finanziaria. “Sono sempre più frequenti i suoi tentativi di creare alleanze con i paesi del Nord, scandinavi e baltici, con cui ha spesso visioni comuni”, nota un diplomatico europeo qui a Bruxelles. Per di più, sempre atlantista, l’Olanda guarda all’alleato americano in modo diverso degli altri paesi europei. In modo più simile al Regno Unito che alla Germania o alla Francia. Come lasciava intendere a suo tempo Cristoforo Fracassi, la diplomazia olandese è più nazionalista di altre. In questo senso, sul prossimo bilancio comunitario (così come sul futuro dell’integrazione europea), il paese darà battaglia. Nel suo Voyage en Hollande (1774) Diderot racconta di una albergatrice che a Re Giorgio II chiede due ghinee per due uova: “Le uova sono così rare qui?” le chiede il Re. “No – gli risponde -, ma i Re sì”.

(Nella foto, il primo ministro olandese Mark Rutte, 51 anni)

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  • Alex Dall'Asta |

    Il fatto è che l’UE è divisa in due, tra una parte germanica efficiente e una parte latina inefficiente e incapace di affrontare le sfide del nuovo secolo. L’uscita dello UK rafforza la parte latina, ovviamente. L’Italia, vista dalla prospettiva olandese, è un Paese fermo a 30 anni fa, testardamente ancorato al passato e che non vuole ammodernarsi. Come dar torto all’opinione olandese (e tedesca)?

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