Vigilanza bancaria – Tra dubbi tedeschi e incomprensioni europee

Chi ha partecipato alla recente riunione dei ministri finanziari dell'Unione a Nicosia racconta che quando il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble ha preso finalmente la parola è stato molto critico di Michel Barnier, il commissario francese al mercato interno. L'esponente politico tedesco ha rimproverato a Barnier di avere creato troppe aspettative sul futuro a breve della vigilanza bancaria. Presentando un ambizioso progetto di centralizzazione della sorveglianza creditizia dagli stati membri alla Banca centrale europea, la Commissione ha detto di volere che la riforma entri in vigore già il 1° gennaio 2013. La Germania frena. Schaeuble - JunckerPer molti commentatori la ragione della posizione tedesca sta nella paura che la vigilanza europea possa allentare in qualche modo il legame privilegiato tra la classe politica locale e le banche pubbliche e cooperative. La situazione è probabilmente più complessa. Non c'è dubbio che il sistema bancario tedesco abbia potuto godere per decenni di una vigilanza molto politicizzata. Non solo perché tradizionalmente una fetta importante del mercato è in mani pubbliche, ma anche perché tecnicamente la sorveglianza è effettuata sia dalla Bundesbank che dal BaFin, un organismo quest'ultimo che dipende direttamente dal ministero delle Finanze. La tesi prevalente è che Schäuble nel negoziare con i partner la riforma bancaria debba tenere conto delle pressioni della classe politica locale, a 12 mesi dalle prossime elezioni federali. E' vero ma non è tutta la storia.


Prima di tutto il settore bancario tedesco è cambiato molto in questi anni. Dieci anni fa, gli istituti di credito pubblici avevano circa il 50% del mercato. Secondo
l’associazione di categoria VÖB, le istituzioni pubbliche, decimate dalla crisi finanziaria, hanno visto la loro quota calare dal 27% nel 2006 al 24% nel 2011. Vi sono state fusioni, acquisizioni, salvataggi orchestrati dal governo federale, e in alcuni casi anche l'ingresso di soci privati nel capitale societario. In poche parole, il legame delle Landesbanken e delle Sparkassen con la classe politica locale si è allentato; il loro potere contrattuale è diminuito. Il governo Merkel è convinto che l'uscita dalla crisi debitoria richieda una nuovo salto nell'integrazione europea. Non per altro ha accettato in primavera che la Commissione studiasse l'idea di una centralizzazione della vigilanza bancaria. Ma Schäuble non vuole che l'operazione avvenga in modo affrettato. Sa che il trasferimento della sorveglianza alla BCE è propedeutico a una ricapitalizzazione diretta delle banche in crisi da parte del Meccanismo europeo di stabilità, così come è stato deciso a livello europeo. Il denaro anziché passare dal bilancio nazionale verrebbe trasferito direttamente dall'ESM all'istituto di credito, senza che il paese nel quale ha sede la banca diventi responsabile in ultima analisi del prestito. La Germania è consapevole del fatto che l'operazione servirebbe a spezzare il circolo vizioso tra bilanci pubblici e bilanci bancari, ma sa anche che i costi per la Repubblica Federale potrebbero essere elevati. Si capisce meglio perché preferisca rimanere cauta sull'entrata in vigore di una riforma ambiziosa. Ai suoi occhi, un conto è il benestare politico, un altro è la messa in pratica. Evidentemente, la posizione tedesca è contraddittoria e quindi fragile. Da un lato vuole un sistema decentrato, per venire incontro alle pressioni locali. Dall'altro, vuole che la nuova vigilanza sia la più indipendente possibile dalle influenze nazionali, per poter essere tranquilla sullo stato di salute degli istituti di credito spagnoli oggi, sloveni domani che sarà chiamata ad aiutare finanziariamente. Su un aspetto, la Germania ha probabilmente ragione. Al di là degli equilibri tra centro e periferia nella nuova sorveglianza creditizia, il governo Merkel crede che praticare la vigilanza europea dall'oggi al domani sia impossibile. Non è solo questione di forza lavoro – le banche nella zona euro sono 6.000 e i funzionari della BCE che dovrebbero come minimo sovrintendere il tutto appena 1.300 – ma anche di regole comuni, norme omogenee, abitudini da armonizzare. Agli occhi di Berlino, creare un automatismo tra l'approvazione politica della riforma, la sua entrata in vigore e la ricapitalizzazione diretta delle banche è troppo pericoloso. A molti qui a Bruxelles, il ragionamento appare a detrimento dell'interesse europeo. Ma a Monaco o a Colonia, ad Amburgo o Stoccarda appare del tutto legittimo.

 

(Nella foto, il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble e il presidente dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker durante la riunione dei ministri finanziari della zona euro questo fine settimana a Nicosia)

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